L’impegno delle Energy Majors nel guidare la spinta alla transizione energetica si è articolato negli ultimi anni in una molteplicità di aree di intervento e di obiettivi. Lo shock causato dal Covid19 sui consumi energetici sembra aver accelerato l’impegno verso una più fattuale determinazione di target a sfondo ambientale, largamente promessi ed ora sempre più stringenti.
I risvolti della crisi. Con ogni probabilità il 2020 verrà annoverato a lungo come l’annus horribilis della storia recente sotto molti aspetti. L’emergenza sanitaria ancora in atto in diverse aree del mondo e la crisi economica che ne è seguita sono i due aspetti principali attorno ai quali si è concentrato il dibattito di questi mesi. Nel mezzo della tempesta che si è abbattuta e che ancora imperversa sui mercati, le compagnie hanno dovuto immediatamente riconsiderare le strategie per l’anno in corso ed adattarsi alle prospettive di un contesto economico profondamente mutato. A far riflettere è come, in larga parte, le perdite registrate al termine del primo trimestre del 2020, andranno a protrarsi per l’intero anno, ponendo l’attenzione su azioni immediate per guidare la ripresa. Tra le realtà che maggiormente hanno subito l’impatto della pandemia ci sono senza dubbio le cosiddette Energy Majors, quelle compagnie energetiche, contraddistinte da una presenza globale in tutti i livelli della catena del valore.
Dall’analisi del Financial Times emergono le 25 compagnie che più hanno subito il contraccolpo durante la crisi Covid19 (si considerano i valori azionari fino al 18 giugno). Tra queste emergono quelle realtà il cui business model ha subito forti pressioni per via del protrarsi di un nuovo modo di vivere. Ad essere rappresentati soprattutto i comparti della finanza e dell’energia, comunemente ritenuti settori “difensivi” (cioè in grado di sostenere fasi di contrazione), ma da mesi sotto pressione. Ben 8 (il 32% del campione) sono proprio compagnie energetiche coinvolte prevalentemente in attività collegate all’oil&gas e pertanto esposte alle previsioni di contrazione della domanda di greggio per il 2020. La graduatoria si allarga ai diversi settori dell’economia globale, evidenziando come il Covid19 abbia colto di sorpresa anche molti altri leader di settori “ciclici”, ma la il dato in sé pone delle domande.
Correzione prevedibile o necessità di rivedere il modello di business? Basta una semplice considerazione per comprendere più immediatamente questo fenomeno: la nuova stima mondiale di riserve recuperabili. La determinazione annuale della quantità di greggio recuperabile a livello globale, non corrisponde infatti ad un valore assoluto, ma dipende da alcune considerazioni strettamente correlate. La prima è il livello di prezzi in essere: in un contesto di forte incertezza e con le quotazioni ancora al ribasso rispetto a inizio anno, la commerciabilità delle riserve – ovvero la possibilità di estrarre greggio in maniera economica – si riduce, inducendo le compagnie operanti nel settore a non estrarre barili che fino a pochi mesi fa erano ritenuti economici. La seconda riguarda l’appetibilità nel perseguire attività esplorative orientate alla ricerca di nuove riserve, soprattutto in quelle aree ancora poco conosciute, definite di frontiera. Le attività esplorative, ricoprono di fatto la fase con maggiore incertezza dell’intera catena del valore, e con la prospettiva di un picco della domanda sempre più prossimo, in esse si sono concentrati i tagli più importanti sugli investimenti. Rystad Energy, una delle principali società di consulenza nel settore, prevede per il 2020 una riduzione delle riserve recuperabili di 280 miliardi di barili (-13%), portando la stima aggiornata a 1,9 trilioni, un calo concentrato nei paesi non-OPEC. L’effetto combinato di questi fattori si è immediatamente trasmesso sui conti delle Energy Majors, che nel nuovo scenario prezzi, hanno annunciato svalutazioni sostanziali per via del decremento di valore delle riserve (su tutte Shell e BP, con rettifiche al valore degli asset fino a 20 miliardi di dollari).
Va comunque notato che, con previsioni di crescita della domanda energetica ancora sostenuta per i prossimi anni (la IEA prevede un rimbalzo del 6% già nel 2021), tutto ciò non può implicare un abbandono in vista delle attività collegate all’oil&gas, ma piuttosto un nuovo corso orientato allo sfruttamento di riserve a minor costo e al contenimento delle emissioni. In questo, le Majors energetiche stanno adattando le proprie strategie ad un processo di transizione ormai irreversibile verso combustibili meno inquinanti e fonti energetiche pulite. Una prima direzione possibile è rappresentata dal ribilanciamento del portfolio a favore di progetti gas, una fonte sì fossile ma meno inquinante del greggio e disponibile in larghe quantità. Al contempo, si osserva una costante riallocazione di risorse da progetti convenzionali ad iniziative volte alla transizione energetica.
Uno sguardo agli obiettivi. Osservando le comunicazioni periodiche rilasciate dalle Energy Majors, appare chiaro come l’informativa a impatto ambientale stia gradualmente guadagnando campo in ricorrenza e approfondimento. Già precedentemente all’avvento della pandemia, agli obiettivi di produzione, redditività ed efficienza operativa, se ne sono affiancati di nuovi su contenimento di emissioni di gas serra, livello di generazione energetica da fonti rinnovabili o sviluppo di nuove tecnologie per una crescita energetica a minor impatto ambientale. Lo tsunami del Covid19 ha ulteriormente posto l’accento sul tema, con la revisione in molti casi in rialzo degli obiettivi, come per Shell, che ha portato l’asticella dell’abbattimento delle emissioni collegate ad attività operative dal 50% al 65% entro il 2050. Passi significativi si stanno muovendo nella direzione dello sviluppo su scala industriale di tecnologie CCUS (Carbon Capture Utilization and Storage) che permettano di re-immagazzinare e riutilizzare la CO2 altrimenti dispersa in atmosfera. Un altro canale di azione, comunque collegato al contenimento delle emissioni, si concentra nella generazione da rinnovabili. In un primo momento utilizzate prevalentemente in attività connesse all’oil&gas, oggi solare ed eolico vengono progressivamente considerati dalle Majors come iniziative perseguibili in via autonoma. Quale che sia la strada intrapresa tra lo sviluppo di progetti greenfield – partendo cioè dalla concessione dei permessi fino alla realizzazione e gestione e degli impianti – o l’acquisizione di realtà già operanti nel settore, le rinnovabili sono destinate a ricoprire un ruolo sempre maggiore all’interno del mix energetico delle Majors del futuro.
Risulta però molto spesso difficile trovare un minimo comune denominatore quando si parla di azioni green delle compagnie energetiche. Obiettivi differenti, assenza di metriche condivise e orizzonti temporali più o meno dilatati non permettono una reale comparabilità tra i piani di intervento. Lo studio pubblicato da Carbon Tracker analizza e classifica le azioni promosse dalle Energy Majors all’interno del contesto degli Accordi di Parigi. Il quadro che ne emerge vede posizionarsi le realtà europee, seppur con impegni diversi, nettamente avanti rispetto alle controparti americane. Eni, Repsol e BP sono le compagnie dagli obiettivi più stringenti e determinati su base assoluta. Se l’impegno di abbattimento delle emissioni nel lungo termine (2050) risulta imprescindibile, va considerata l’importanza di obiettivi intermedi in termini di riduzione di carbon intensity come nel caso di Shell, Total ed Equinor. Risalta infine, lo scarso coinvolgimento delle realtà USA, alle prese con iniziative collegate alle emissioni esclusivamente operative e dall’incisività ancora parziale.
L’accelerazione del cambiamento. Per le Majors energetiche è il momento di affrontare una serie di decisioni a carattere trasformativo non più procrastinabili. Il modello di crescita storicamente inteso come costante aggiunta di riserve oil&gas è oggi messo in discussione dalla necessità di adattamento ad uno scenario del tutto nuovo. La crisi dovuta al Covid19 ha reso necessaria una nuova e decisiva spinta alla transizione energetica, ma la strada per il raggiungimento dei vari obiettivi – su tutti il mantra delle net zero emissions – è soltanto all’inizio. Il carattere di urgenza di questo e di altri obiettivi ambientali, creano il contesto adatto per l’evoluzione delle Majors. Un segnale incoraggiante giunge infine dagli USA, dove per la prima volta nella storia, gli investimenti privati previsti nella generazione eolica a mare per il prossimo decennio sono destinati ad eguagliare (e forse superare) le risorse destinate ai nuovi progetti oil&gas offshore. Una svolta storica che potrebbe fare da apripista a tante altre.
Nicola Pugliese (Anno Medea: 2016-2017)
Laureato nel 2015 in International Management presso l’Università Bocconi, dopo un’esperienza all’interno del settore bancario, è giunta la scelta di comprendere ed essere coinvolto nelle dinamiche del mondo dell’energia. Appassionato di strategie di crescita aziendale, mi occupo di negoziati internazionali presso Eni.