Decarbonizzazione ed energy companies – Le prospettive di un futuro green

Autor: iaasm 21-11-2024

Al centro del XII Convegno Annuale IAASM, la decarbonizzazione, tema sempre più focale per le società energetiche operanti a tutti i livelli del settore. A discuterne gli esponenti di alcune delle maggiori realtà italiane e internazionali, uniti nella visione della necessità di un nuovo modello di crescita. Lo sviluppo economico e le previsioni di incremento demografico a livello globale impongono un’imminente inversione di rotta, per ridurre l’impatto di CO2 nell’atmosfera e rientrare all’interno dei limiti stabiliti dagli Accordi di Parigi del 2015 durante il COP 21.

Transizione: in quale direzione? I recenti cambiamenti climatici, seguiti da eventi ambientali caratterizzati da una crescente ricorrenza, mostrano una realtà ormai difficile da ignorare. La concentrazione di CO2 e altri inquinanti dell’atmosfera è ai massimi livelli registrati nell’era moderna, in un trend insostenibile non solo nel lungo termine, ma probabilmente già nel presente. I risultati di studi a carattere scientifico convergono nell’attribuire all’azione dell’uomo le responsabilità dei cambiamenti ambientali in atto e del più generale surriscaldamento globale. Eventi quali tempeste tropicali, incendi ai polmoni verdi del pianeta e casi di dissesto idrogeologico hanno un impatto umano ed economico sempre più catastrofico. Nello scenario attuale di un mix energetico sostanzialmente immutato rispetto al 1990 (fonte IEA), i target stabiliti dagli Accordi di Parigi del 2015 sembrano una chimera, con le politiche delle principali economie mondiali evasive se non divergenti rispetto al contenimento delle emissioni.

Il dato legato alla concentrazione del principale inquinante, la CO2, è al centro del dibattito per contenere l’impatto dell’attività economica sull’ambiente. Come illustrato dal professor Enzo Di Giulio, il passo ancora incerto nell’implementazione degli interventi anti-CO2 ha un duplice impatto: se da un lato il ritardo nell’adozione di azioni contenitive porta un livello di anidride carbonica sempre maggiore nell’atmosfera, dall’altro, uno slittamento nel picco di emissioni di CO2 richiederà azioni future più affrettate ed incisive per ridurre le stesse su base annua ed evitare effetti irreversibili sull’ambiente. Il Fondo Monetario Internazionale propone una possibile soluzione per il raggiungimento dell’obiettivo dei 2° degli Accordi di Parigi: l’adozione di una Carbon Tax a 75 dollari per tonnellata di CO2 contro quella che è la media globale attuale di circa 2 dollari per tonnellata di anidride carbonica. Da sola, la differenza nell’ordine di grandezza permette di comprendere quanto sia ancora ampio il divario tra gli interventi in atto e l’obiettivo da raggiungere.

Le azioni di oggi con lo sguardo al futuro. Ad emergere è soprattutto la dicotomia tra le azioni di oggi e le inevitabili ripercussioni che tra dieci o quindici anni saranno evidenti sull’ambiente. In questa logica, le comuni metriche a carattere finanziario adoperate nella valutazione di fattibilità di nuovi progetti devono assumere per una volta un ruolo secondario, lasciando invece spazio a quella che è la valutazione ambientale delle nuove politiche. Come illustra Q8 nel suo concept di stazione energetica intelligente, l’installazione di sistemi di illuminazione sensibili al movimento e in grado di entrare in funzione solo quando necessario è un passo in avanti che permette di ridurre gli sprechi e che rappresenta la direzione verso la quale il settore è orientato. Una simile iniziativa, già lanciata in Italia, sarebbe da sé difficilmente giustificabile in un’ottica di ritorno esclusivamente finanziario, senza cioè allargare la prospettiva all’impatto ambientale a 360 gradi. In un’economia come quella italiana, che muove ogni giorno 37 milioni di auto (escludendo il traffico merci), il cambiamento non può prescindere da una profonda riconsiderazione delle abitudini di consumo e degli stili di vita. Secondo la visione di Q8 Italia, lo snodo principale del cambiamento è rappresentato dalla programmazione degli interventi di sostenibilità ambientale attraverso l’ottica della sostenibilità economica e sociale. Solamente pesando le azioni del domani con un’analisi di costi e benefici allargata all’intera catena del valore (economica e occupazionale) si può conseguire un impatto significativo nel lungo termine. Sono perciò le aziende a farsi carico di quest’obbligo morale, promuovendo quei progetti che anche a fronte di limitati ritorni nel breve termine permettano il cambiamento ed un migliore impatto ambientale.

La spinta green in nuove aree. Se la narrativa dello sviluppo sostenibile interessa ormai da tempo aree quali fonti energetiche rinnovabili e consumi a basso impatto, nuove prospettive a trazione green sembrano farsi spazio negli ultimi anni. A fronte di una maggiore presa di responsabilità sul tema da parte della comunità finanziaria, le società energetiche iniziano a fare i conti con investitori sempre più scettici dinnanzi a business model che non considerano un adeguato apporto da fonti rinnovabili. L’appello più importante è giunto recentemente da parte del fondo sovrano norvegese, che, pur tra qualche perplessità nel settore, ha annunciato il disinvestimento da una serie di società petrolifere non ritenute in linea con un modello di sviluppo green. Se da un lato un riequilibrio delle fonti dell’energy mix risulta necessario, dall’altro, le azioni praticabili trovano terreno fertile in nuovi ambiti quali, ad esempio, l’emissione di strumenti di debito come i “Green Bond”. A febbraio 2019, Snam è stata la prima realtà europea a collocare sul mercato un Climate Action Bond da 500 milioni di euro, con l’obiettivo di finanziare o rifinanziare le linee di azione a matrice sostenibile, (definite dalla stessa azienda all’interno del proprio Climate Action Bond Framework) quali investimenti in biometano ed efficienza energetica. L’iniziativa, accolta da un elevato interesse da parte dei mercati, guarda in maniera diretta al miglioramento dell’impatto ambientale di Snam, che si pone un obiettivo di taglio delle emissioni di metano del 25% fino al 2025. La sensibilizzazione della comunità finanziaria può rappresentare quindi una determinante verso un nuovo approccio alla transizione energetica.

Quale ruolo per gli operatori oil&gas? Lo spiega Roberto Lorato, Amministratore Delegato di MEDCO Energi, società che guarda al futuro della transizione energetica con la consapevolezza di adattarsi ad un contesto in continua evoluzione. Secondo Lorato, le società energetiche hanno oggi la responsabilità di rispondere alle disuguaglianze tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. All’interno di un trend di domanda in costante aumento, con il maggior incremento proveniente proprio da paesi non-OECD, l’accesso all’energia diventa una responsabilità primaria per gli operatori del settore. Secondo la World Healt Organization, circa tre miliardi di persone vivono in condizione di povertà energetica, mentre, secondo la IEA, a più di un miliardo non è garantito l’accesso all’energia. Se è vero che una maggiore eguaglianza economica debba fondarsi sull’eguaglianza energetica, allora è necessario che l’accesso ad una fonte di energia affidabile ed economica sia garantito a tutti. Per quanto criticato e fortemente responsabile di immissioni nocive, l’utilizzo di fonti fossili, ad oggi rappresenta ragionevolmente l’alternativa più economica per quelle aree del mondo che più hanno bisogno e diritto di crescere. Lorato sottolinea come l’unica via risiede nella cooperazione da parte delle principali economie mondiali, affinché in esse avvenga un decisivo taglio alle emissioni pro-capite, permettendo quindi alle realtà in fase di sviluppo di crescere compatibilmente con gli obiettivi di Parigi.

L’evoluzione ad un nuovo modello di sviluppo. Gli obiettivi-guida posti delle Nazioni Unite per la conservazione ambientale hanno il contorno di un’emergenza-urgenza per l’ambito delle energy companies, chiamate a rispondere a un mondo in crescente fame di energia. Le prospettive demografiche che tendono a 9-10 miliardi di persone al 2050 pongono la grande parte dell’aumento in paesi in via di sviluppo, aree nelle quali si concentra una maggiore domanda di energia e risorse. Lo sviluppo fino ad oggi alla base dell’economia mondiale ha visto un modello di sfruttamento lineare ossia, una tendenza verso produzione e sfruttamento di risorse naturali orientata al loro consumo, non considerando il fine vita delle stesse. Facendo un salto indietro, negli anni ’70, modello lineare riusciva ancora a garantire il bilancio tra generazione e sfruttamento delle risorse primarie mondiali. Con gli anni però, questo bilancio è andato deteriorandosi, con la determinazione dell’Earth Overshoot Day (il giorno in cui l’uomo esaurisce l’intera disponibilità di risorse primarie rinnovabili in un anno solare) in continuo anticipo, fino al 29 luglio raggiunto nel 2019.

I principali rischi di un tale modello di sviluppo si palesano nel consumo e nella riduzione di risorse finite, nella crescente competizione per il loro approvvigionamento e nelle oscillazioni di prezzo che le materie prime possono avere per le aziende che di queste risorse hanno bisogno. A tutto ciò fa seguito il problema dilagante della produzione di rifiuti, la cui collocazione e smaltimento rivestono un ruolo fondamentale nei centri urbani. Basti pensare che le stime sulla concentrazione dei rifiuti all’interno dei grandi centri urbani vedono un balzo dal 50% attuale ad oltre l’80% previsto nel 2050. Il processo produttivo non può più prescindere pertanto dalla massimizzazione della sostenibilità ambientale che deve rivestire un approccio trasversale lungo l’intera catena del valore, trasformandosi in vero e proprio vantaggio competitivo attraverso il paradigma di economia circolare. Monica Spada espone la storia di successo Eni in cui, attraverso il modello di economia circolare, il programma di decarbonizzazione viene elevato allo stesso livello degli obiettivi strategico-finanziari.

Gli elementi cardine dell’economia circolare. Tra i pilastri dell’approccio circolare c’è innanzitutto l’approvvigionamento a partire da un input sostenibile, rinnovabile non solo dal punto di vista energetico, ma che riduca il ricorso ad una materia prima vergine. Un secondo elemento riguarda il miglioramento del processo di trasformazione mediante il paradigma di eco-design, affinché il ciclo produttivo riduca al massimo la generazione di scarti, riconvertendo quanto non può essere riutilizzato. Un ulteriore tassello riguarda l’allungamento della vita utile degli asset produttivi vicini a dismissione per obsolescenza economica, ma che una volta convertiti risultano ancora utili a nuove lavorazioni. È il caso della rigenerazione degli impianti di raffinazione Eni di Porto Marghera (Venezia) e Gela, in bioraffinerie, per le quali il processo originario di realizzazione di carburante a partire dalla lavorazione del greggio vede ora l’utilizzo di oli vegetali e, in quota sempre crescente, di oli alimentari esausti. Il mix di materie prime del prossimo futuro per le bioraffinerie è oggetto di particolare attenzione e studio da parte di Eni a causa della direttiva UE che impone di eliminare, al più tardi al 2030, l’olio di palma e analoghe fonti in competizione con il settore alimentare e la mangimistica. Pertanto, sono in studio coltivazioni di piante oleaginose alternative quali il ricino, pianta non edibile e coltivabile su terreni marginali a bassa piovosità (progetto sperimentale in Tunisia), o brassicacee, anch’esse a scopo non alimentare e coltivate in regime di rotazione con il frumento (come nel Sud Europa).

Altri progetti su scala nazionale puntano alla realizzazione di idrogeno e metanolo partendo da una frazione di rifiuti urbani oppure alla produzione di un bio-olio, considerato un semilavorato per raffinerie per la produzione di biocarburanti avanzati o destinabile a carburanti navali, a partire dalla FORSU (frazione organica dei rifiuti solidi urbani). Non ultimo, Eni intravede un grande potenziale attuabile nel breve-medio termine nel bio-metano, anche promuovendo il recupero di biomasse di scarto, in ottica circolare. Ciò si traduce nell’intercettare il biogas prodotto in Italia da diverse fonti per convertirlo in bio-metano da destinare ai trasporti, con una crescente penetrazione di questo bio-combustibile venduto dai distributori sia in forma compressa che liquefatta. Un ulteriore elemento è infine rappresentato dalle alleanze con realtà locali e municipalizzate al fine di sfruttare le sinergie con esse, in aree critiche quali raccolta di scarti e rifiuti urbani. Queste ed altre iniziative rappresentano i primi passi verso un più capillare sviluppo del modello circolare, affinché l’energia del domani sia in maniera sempre più sostanziale derivante da fonti primarie sostenibili.

In conclusione. La visione univoca che emerge dalle realtà convenute pone al centro della guerra al cambiamento climatico delle linee di intervento precise e incisive. In ciò, risulta determinante il coordinamento tra le economie mondiali al fine di limitare le immissioni di inquinanti, non precludendo la strada della crescita alle aree del mondo in via di sviluppo. Il ruolo delle società energetiche è pertanto fondamentale nel dare alla luce idee innovative a ridotto impatto ambientale e che permettano un libero accesso all’energia. Come emerso dalla discussione avvenuta durante il XII Convegno IAASM, questo è possibile solamente adottando nuovi paradigmi che consentano uno sviluppo sostenibile.

A Margine. Instituito nel 2017, il Premio IAASM Award viene conferito agli alumni che si sono distinti con il loro operato nella divulgazione dei valori della Scuola Mattei. Tra i vincitori delle passate edizioni ci annoverano Alberto Clò (già Ministro dell’Industria e del Commercio), Stefano Venier (CEO Hera Group) e Alberto Chiarini (CEO Eni Gas e Luce). Al termine del XII Convegno Annuale 2019, il Presidente IAASM Rocco Cirillo ha insignito Roberto Lorato (alumnus 1987-1988) e Giuseppe Zappalà (alumnus 1987-1988) con il premio IAASM Award 2019 per “aver saputo interpretare le trasformazioni dell’industria energetica promuovendo costantemente le tematiche di sostenibilità”.

 

Nicola Pugliese (Anno Medea: 2016-2017)
Laureato in International Management presso l’Università Bocconi nel 2015, dopo un’esperienza all’interno del settore bancario, è giunta la scelta di comprendere ed essere coinvolto direttamente nelle dinamiche del mondo dell’energia. Appassionato di strategie di crescita aziendale, mi occupo dell’Area Negoziati Upstream presso Eni.